Rileggere Don Chisciotte oggi, attraverso la poetica del Teatro dei Venti, mette in luce la possibilità di continuare ad agire nel mondo in modo corale. 
Risvegliare la potenza di ciascuna persona, affinché possa continuare a combattere le ingiustizie, aprirsi alla meraviglia, farsi carico delle fragilità. Insieme allo stupore creato dagli strumenti tipici del teatro di strada – trampoli, musica dal vivo, macchine teatrali – si porta nella tradizione l’innovazione di una scelta atipica: la parola poetica. Quello che affrontiamo insieme per le strade e le piazze è dunque un viaggio onirico che sprona a tornare alle radici dei nostri desideri. 

Ciò per cui lotta Don Chisciotte, e che si riverbera anche in Sancho, è la possibilità di non rassegnarsi, di non abituarsi al male, con lo sguardo rivolto al futuro, che ha bisogno di tutta la nostra consapevolezza presente.

Don Chisciotte photo credits Chiara Ferrin

Don Chisciotte è uno spettacolo di strada liberamente tratto dal capolavoro della letteratura spagnola di Miguel de Cervantes Saavedra. Come nel romanzo, il protagonista è Alonso Chisciano che, dopo essersi perso nella lettura di libri di avventura, si convince di essere un cavaliere errante. Parte così dalla povera regione della Mancia, dov’è residente, e si mette in viaggio come paladino di giustizia, pace, difesa degli oppressi e dei più alti valori.

Al suo fianco compare fin dall’inizio, nel ruolo di scudiero, Sancho Panza, uno “stolto” che si incammina in groppa al suo asino inseguendo la promessa di una futura ricchezza, fatta di terre di cui sarà governatore. 

La drammaturgia dello spettacolo non segue cronologicamente la successione degli eventi del romanzo, ma unisce una punteggiatura di tempi e luoghi differenti, per costruire un ritratto dei personaggi adatto al teatro negli spazi urbani.

A raccontarci questa storia è un Narratore, che insieme alla sua controfigura, scandirà l’andamento delle scene e guiderà gli spettatori nell’utopico viaggio dei due protagonisti.

Don Chisciotte photo credits Chiara Ferrin

Come nel romanzo, tutte le azioni di Chisciotte si riveleranno fallimentari, scontrandosi con le griglie rigide di una realtà impietosa e senza vie d’uscita. Passo dopo passo, sconfitta dopo sconfitta, assisteremo al progressivo inabissamento di Don Chisciotte nella disperazione. In lui muore il sogno che lo ha fatto mettere in viaggio.  Sarà dunque Sancho che, seppur scettico all’inizio della vicenda, rimarrà sempre al fianco di Don Chisciotte e si lascerà persuadere dai suoi ideali e dalla sua nobiltà d’animo, raccoglierà la sua eredità spirituale, e con un toccante monologo finale rivolto al pubblico inviterà gli spettatori a non arrendersi e a credere che, uniti verso la ricerca di una vera giustizia, un cambiamento è possibile.

Ideazione, regia e drammaturgia Stefano Tè
Con Alessandro Berardi Oxana Casolari, Francesca Figini, Davide Filippi, Esther Grigoli, Alice Mascolo, Antonio Santangelo, Christian Sidoti, Cesare Trebeschi, Francesco Valli
Musiche Igino L. Caselgrandi, Pietro Colliva, Diego Lancellotti, Nicola Raccanelli
Testi Azzurra D’Agostino
Traduzione Johanna Bishop
Macchine Teatrali Dino Serra, in collaborazione con Paolo Romanini, Emanuela Savi, Chiara Pettenati
Costumi e scenografie Maria Scarano – Atelier Polvere di Stelle
Consulenza artistica Mario Barzaghi. Assistenza alla regia Francesco Cervellino
Fonica Luigi Pascale, Tonino La Distruzione, Nicola Raccanelli

Bozzetti, costumi e macchine teatrali di F.M., detenuto della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia, nell’ambito del progetto europeo AHOS All Hands on Stage.

Con il sostegno di Ministero della Cultura, Regione Emilia-Romagna e di Caracò.

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