Riccardo Lanzarone racconta Atto di Dolore
Il dramma interiore di Leonardo Vitale, primo pentito di Cosa Nostra, in scena in anteprima nazionale al Teatro al Parco
In vista della prima nazionale di Atto di dolore, che debutterà il prossimo 14 dicembre al Teatro al Parco di Parma, abbiamo scelto di esplorare il punto di vista di Riccardo Lanzarone, protagonista di questa intensa produzione firmata Solares Fondazione delle Arti Teatro delle Briciole. Attore, autore e regista Lanzarone, in questa intervista propone una lettura più intima e profonda del protagonista Leonardo Vitale, un personaggio che richiede un impegno interpretativo ed emotivo unico.
La prima nazionale di Atto di dolore, una Produzione Solares Fondazione delle Arti, si terrà al Teatro al Parco di Parma e rappresenta il debutto di una storia tanto potente quanto poco conosciuta.
Come immagini sarà il primo incontro tra il pubblico e un personaggio così complesso come Leonardo Vitale, e cosa speri che questa rappresentazione possa accendere negli spettatori?
La prima di uno spettacolo è sempre un’incognita, farlo con uno spettacolo a tema civile che parla di mafia lo è ancora di più. Purtroppo negli anni siamo stati abituati ad assistere a progetti sulla legalità restituiti al pubblico in maniera quasi rassicurante, “metto in scena le vicende che tutti conoscono, così tutti mi seguono e non mi espongo più del dovuto.” Questa è la tendenza che almeno io ho percepito. Quando si parla di mafia però non si può rimanere in superficie, non si deve edulcorare la forma, la mafia fa schifo quindi bisogna mettere le mani nel sangue, far sentire l’odore del sangue in platea. Bisogna essere disposti a toccare le corde più oscure della nostra anima. In alcuni passaggi dello spettacolo mi vergogno di dire alcune frasi e di compiere alcune azioni. Quindi credo che il pubblico non si aspetti un lavoro di questo tipo, non perché faccio cose straordinarie, ma solo perché provo a non seguire le modalità di un teatro “civile” recitato educatamente.
In cuor mio però sento che il pubblico accoglierà in maniera generosa una storia così atroce. Ho delle buone sensazioni. Il lavoro è onesto e prova a restituire rispetto a una figura che poteva cambiare le sorti del nostro Paese. Se qualcuno negli settanta avesse agito, dopo quelle dichiarazioni forse ci saremmo risparmiati gran parte delle stragi di mafia e il nostro Paese avrebbe qualche ferita in meno.
Leonardo Vitale è una figura complessa, lacerata tra la cultura mafiosa, fede religiosa e il suo desiderio di redenzione. Come hai preparato il personaggio e quali sono state le sfide principali nell’entrare nella sua psiche così tormentata?
Ogni volta che mi avvicino a un nuovo personaggio cerco di capire cosa ci accomuna, se abbiamo dei punti di contatto, se ci sono nelle nostre vite vicende e circostanze simili. Leonardo Vitale ha perso la vita per aver detto la verità, ed è proprio dalla voglia di verità che sono partito. Come per Leonardo anche per me la verità è un tema centrale della mia esistenza, e la verità spesso provoca delle difficoltà e può portarti a momenti di solitudine. Da questa difesa della verità ho iniziato a creare questo personaggio così complesso e fragile.
Il sistema giudiziario e sociale dell’epoca etichettò Vitale come pazzo, ignorando il peso delle sue rivelazioni. Come hai lavorato sulla rappresentazione di questa ambiguità tra la follia percepita e la lucidità delle sue confessioni?
A livello interpretativo questo forse è stato l’aspetto tecnico più difficile. Vitale nella storia torna a testimoniare più volte. Nella prima è assolutamente lucido e preciso, fornisce informazioni chiarissime e piene di dettagli. Dopo l’arresto invece inizia a fare retromarcia. Durante i successivi interrogatori appare confuso, si rimangia in parte quello che ha detto, ma non rinuncia totalmente alla prima versione, si capisce che questa sua confusione è dettata dalla paura di quello che potrebbe succedere a lui e alla sua famiglia. Nelle ultime testimonianze invece non si riesce quasi più a distinguere il Vitale pentito di mafia, dal Vitale paziente di un manicomio, quindi le sue parole sono il risultato degli effetti dell’elettroshock e quello che resta dell’uomo che cercava la redenzione. Ho provato a mischiare i confini della lucidità e dell’abbandono cercando di vivere la scena come se fossi sopra un’altalena. In alcuni passaggi infatti la narrazione non è organica, ma prova a rivivere le frequenze disordinate di un calvario come quello del personaggio.
Le musiche curate da Valerio Daniele, giocano un ruolo importante nello spettacolo. In che modo il suono contribuisce a immergere il pubblico nella mente tormentata di Leonardo Vitale?
Le musiche in questo spettacolo hanno un ruolo fondamentale, non sono concepite come accompagnamento della storia, ma sono parte della storia. Valerio Daniele non ha creato solo delle musiche, la sua è proprio una drammaturgia del suono e in scena spesso crea gli spazi, oltre alle atmosfere. In alcuni momenti dello spettacolo non succede apparentemente niente e la narrazione è delegata solo alla musica. Abbiamo condiviso insieme l’idea che il suono non dovesse essere per niente rassicurante, ma al contrario restituire al pubblico la solitudine e il caos della vita di Leonardo Vitale e il risulto è veramente efficace. Valerio ha fatto un lavoro di grandissima potenza.
Recitare un personaggio come Vitale deve essere emotivamente impegnativo. Come riesci a gestire il tuo coinvolgimento durante e dopo le performance?
Io amo recitare personaggi che mi fanno paura, storie lontane da me, questo mi permette di uscire dalla mia zona di confort ed esplorare nuovi livelli interpretativi. Prima di iniziare una prova ho bisogno di raccogliere tutta l’energia possibile, ascolto la musica e provo a risvegliare il corpo per sentire tutta la forza necessaria. Quando la prova finisce invece, mi sento addosso un senso di vuoto e vorrei non sentire nessuno per un po’. Non riesco a cambiare immediatamente il mio stato emotivo e tornare al mio respiro, e come se qualcosa di Leonardo Vitale si aggrappasse al mio cuore e alla fine mi chiedesse aiuto.
Spero che un’operazione del genere possa far sorgere delle domande. Come esseri umani dovremmo lottare sempre per essere dalla parte della verità senza paura delle conseguenze. Non so se questo possa accadere, però bisogna provarci, e quale luogo migliore se non il teatro.