Come diventare ricchi e famosi da un momento all’altro

Il 28 febbraio, per la stagione serale 2024/25, ospiteremo al Teatro al Parco “Come diventare ricchi e famosi da un momento all’altro“, spettacolo scritto e diretto da Emanuele Aldrovandi. Abbiamo posto alcune domande all’autore e regista per approfondire i temi dello spettacolo e le riflessioni che lo hanno ispirato. Un’opera che interroga il pubblico su temi profondi e attuali, intrecciando realtà e pensiero astratto in una narrazione avvincente.

Aldrovandi ci invita a riflettere su questioni universali: il legame tra felicità e realizzazione personale, il peso delle aspettative genitoriali sui figli e il valore dell’arte in un contesto in cui il mercato e il consenso sembrano predominare. Attraverso i suoi personaggi, il drammaturgo esplora le contraddizioni umane senza giudizi netti, lasciando spazio alla complessità e alla discussione.

Ferdinando, il protagonista, rivive ossessivamente il passato, ponendosi domande su scelte e possibilità non colte, mentre Marta, madre ambiziosa, incarna il conflitto tra aspirazioni personali e responsabilità genitoriali. La struttura narrativa e la messa in scena rispecchiano il costante equilibrio tra realtà e archetipo, un tratto distintivo della ricerca teatrale di Aldrovandi.

Nelle sue note di regia, l’autore evidenzia il desiderio di raccontare storie che si muovono su due livelli paralleli: da un lato la concretezza della vita quotidiana, dall’altro la dimensione del pensiero e della riflessione astratta. Un confine sottile, in cui il pubblico è chiamato a interrogarsi, a prendere posizione e a confrontarsi.

L’appuntamento con “Come diventare ricchi e famosi da un momento all’altro” è un’occasione imperdibile per immergersi in una drammaturgia lucida e provocatoria, capace di sollevare domande senza fornire risposte univoche, ma offrendo un nuovo punto di vista sulla realtà che ci circonda.
I biglietti sono disponibili al botteghino ed online sul sito ufficiale di Vivaticket.

Cosa ti ha ispirato a scrivere questa storia e cosa vuoi che il pubblico si porti a casa dopo aver visto lo spettacolo?

Gli spunti sono sempre molteplici e di solito sono domande. Per questo lavoro ne potrei isolare tre.

Che rapporto instauriamo fra la felicità e la realizzazione personale?
Come riversiamo sui figli i nostri desideri e le nostre paure?
Il fatto che nell’arte non esista una “qualità oggettiva” ma solo una serie di narrazioni rispetto a cosa ha valore e cosa no, può davvero azzerare ogni discorso concreto sulle opere e lasciare spazio solo al mercato/consenso? È un paradosso o è quello che sta già accadendo e forse è sempre accaduto?

Il tema del successo e della realizzazione personale è molto attuale. Secondo te, fino a che punto è giusto spingersi per raggiungere i propri sogni?

Non lo so. A volte ci dedico tutto me stesso e altre penso che non abbia alcun senso.

Ferdinando rivive ossessivamente il passato. Perché hai scelto questa struttura narrativa e quanto è importante il senso di colpa nella storia?

Più che il senso di colpa quello che muove Ferdinando a rivivere quello che è successo sono una serie di domande tipo “Avrei potuto fare qualcosa di diverso?”, “In che punto?”, “In base a cosa avrei potuto decidere di agire diversamente?”, “Cosa sarebbe cambiato?”. C’è una battuta che spiega molto bene il suo approccio, che lo rende aperto ai punti di vista degli altri e allo stesso tempo in difficoltà quando c’è da prendere posizione: “La mia mente, appena pensa una cosa, pensa anche la cosa opposta”. In lui si riverberano gli aspetti contraddittori del relativismo.

Photo © Luca Del Pia

Marta è una madre disposta a tutto per la carriera della figlia. La vedi come un personaggio positivo, negativo o semplicemente umano?

Cerco di non giudicare mai i personaggi con le categorie del “positivo” e “negativo”. Provo sempre a mettermi nei loro panni e a immaginare quali siano i desideri, le pulsioni e le visioni del mondo che li spingono ad agire in un determinato modo. Poi ogni singolo spettatore tende a considerarsi favorevole o contrario a certi atteggiamenti; quello che mi piace è quando si creano visioni diverse che portano le persone, dopo lo spettacolo, a confrontarsi e dibattere per difendere opinioni diverse rispetto a quanto hanno visto. Se tutti giudicassero i personaggi e quello che accade allo stesso modo, lo considererei un fallimento.

Photo © Luca Del Pia

SUL CONFINE DELLA REALTÀ

Note di regia di Emanuele Aldrovandi

Cosa viene prima?

È l’esistenza che genera le idee o sono le idee che danno una forma all’esistente? 
Nessuno credo sia in grado di dare una risposta, ma continuo ad essere interessato alle connessioni che è in grado di creare la domanda.

Se provo a tracciare un filo di questi anni di lavoro in teatro, posso ipotizzare che la mia ricerca, prima come autore e poi come autore/regista, abbia sempre girato intorno a questo, al tentativo di trovare un equilibrio fra la realtà e l’archetipo.

Con il tempo sono cambiati i temi, le strutture narrative e gli approcci stilistici, ma ho sempre la necessità di cercare di volta in volta il modo più efficace per raccontare storie che siano in bilico fra la vita concreta e il pensiero astratto.

Nel lavoro drammaturgico anziché riscrivere personaggi della storia della letteratura, usando miti o simboli, mi piace partire dalla realtà, da personaggi contemporanei che vedo o immagino intorno a me, per poi tentare di estrarre da loro quello che c’era di archetipico. Oppure a volte mi capita di fare il contrario, partire dalla funzione simbolica che mi interessa e poi provare a incarnarla.
Il risultato sono una serie di “esseri viventi” che sembrano presi dalla cronaca, ma che allo stesso tempo non si possono davvero incontrare per strada, perché sono contemporaneamente sia reali che astratti; camminano “sul confine” fra due dimensioni. 

Questo equilibrio è difficile da mantenere – si regge non soltanto sulla scrittura e la recitazione, ma anche sulle atmosfere, la scenografia, i costumi, le musiche – e di sicuro non posso dire io di averlo ottenuto, ma posso affermare con certezza di averlo cercato, perché mi sembrava il modo più efficace per “incarnare” domande alle quali non sapevo rispondere, facendole vivere attraverso storie che scorressero su due binari paralleli, quello della realtà (avvincente, concreto e facile da seguire) e quello del pensiero (complesso e difficile da interpretare), per poi condividerle con il pubblico. E se il momento della ricerca e della creazione è senza dubbio intimo e personale, credo che la condivisione possa avere anche un risvolto politico, perché se ci spostiamo appena dalla realtà in cui siamo immersi abbiamo la possibilità di guardarla da un’angolazione diversa.

Pubblicato il: 24-02-2025